APOLOGIA DEL FASCISMO: LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
Dopo gli eventi delle commemorazioni di Acca Larentia del 7 gennaio scorso, che si sono concluse con il saluto fascista di alcuni manifestanti in formazione militare, il problema del reato di apologia del fascismo è nuovamente al centro delle notizie nazionali.
Questo tema è particolarmente importante in relazione alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che proibisce la riorganizzazione del partito fascista in qualsiasi forma.
Dopo alcune decisioni giudiziarie contrastanti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta il 18 gennaio 2023 per risolvere la questione. Tuttavia, al momento non sono ancora disponibili le motivazioni della decisione, ma sembra che l’ambito di applicazione potrebbe essere limitato.
Si ritiene che, per affrontare questo tema in modo più completo, sia necessario un provvedimento di legge organico.
Cerchiamo di capire meglio l’argomento.
L’apologia del fascismo si configura come un insieme di azioni e comportamenti finalizzati alla ricostruzione del partito fascista, reato introdotto per la prima volta con la legge Scelba del 20 giugno 1952.
Secondo questa normativa, la ricostruzione del partito fascista richiede la presenza di almeno cinque persone che propongono di sovvertire l’ordine democratico attraverso la violenza, minacciando le libertà e i principi fondamentali della Repubblica. Ciò include l’esaltazione di eventi, figure e comportamenti propri del partito fascista..
Le sanzioni previste da questa legge includono pene che vanno fino a un anno e sei mesi di reclusione o una multa fino ad € 6.000,00 per coloro che propagano idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, istigano o commettono atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Per coloro che incitano o commettono violenza o atti di provocazione alla violenza con gli stessi motivi, la pena è da sei mesi a quattro anni di reclusione.
È importante sottolineare che l’applicazione di queste pene deve essere bilanciata con il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, un principio costituzionale tutelato dall’art. 21 della Costituzione.
Questa legge si estende anche alla punizione di qualsiasi forma di esaltazione di principi, metodi e fatti del fascismo, incluso il coinvolgimento di associazioni o partiti in tali comportamenti.
Per garantire il rispetto delle regole internazionali, è stata introdotta la c.d. “legge Mancino”, che si occupa di punire la propaganda fondata sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico.
Le pene previste includono la reclusione fino a un anno e sei mesi o una multa fino ad € 6.000,00. La legge sanziona anche coloro che incitano o commettono violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, con pene che vanno da sei mesi a quattro anni di reclusione.
MINACCE E INSULTI ALL’AMMINISTRATORE
Il disegno di legge “Fiano” del 2017, ha ulteriormente cercato di rafforzare la legislazione contro l’apologia del fascismo. Questo disegno di legge prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni e una multa da 206 a 516 euro per coloro che propagano immagini o contenuti propri del partito fascista o nazionalsocialista.
Tuttavia, il disegno di legge non è ancora diventato una legge formale dello Stato.
In questo contesto normativo, il gesto del saluto romano ha suscitato interpretazioni contrastanti.
Ad esempio, nel 2017, il Tribunale di Varese ha condannato un professore che ha scambiato un saluto romano con un suo alunno all’uscita di scuola.
La sentenza ha motivato la condanna sottolineando la “grande gravità” del gesto, specialmente considerando che l’autore era un insegnante, una figura educativa.
Al contrario, nel 2019, il Tribunale di Milano ha assolto quattro persone imputate per lo stesso gesto, sostenendo che, nonostante il richiamo chiaro alla simbologia fascista, tale gesto non costituisse un serio e concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista.
Sulla base delle informazioni fornite, sembra che la decisione della Cassazione, in attesa delle motivazioni complete, possa essere interpretata nel senso che il gesto del saluto romano per costituire un reato secondo la legge Scelba dovrebbe essere associato alla presenza di un pericolo concreto di riorganizzazione del partito fascista. Allo stesso tempo, in alcune circostanze specifiche, il ‘saluto fascista’ potrebbe configurare il reato previsto dal decreto Mancino.
In sostanza, sembra che la Corte stia stabilendo che per considerare il saluto romano un reato secondo la legge Scelba, deve esserci un rischio effettivo di riorganizzazione del partito fascista. D’altra parte, in determinate situazioni, il ‘saluto fascista’ potrebbe rientrare nel delitto contemplato dal decreto Mancino.
Tuttavia, è importante attendere le motivazioni complete della sentenza per ottenere una comprensione più dettagliata della decisione della Cassazione.
Avv. Luca Palmerini