RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PRELIMINARE DI COMPRAVENDITA: QUALI CONSEGUENZE?
La compravendita di un immobile è, generalmente, proceduta dalla sottoscrizione del cosiddetto “contratto preliminare”: la risoluzione del contratto preliminare di compravendita medesimo per inadempimento di una delle parti ha importanti conseguenze che andremo ad esaminare.
Si tratta di un negozio giuridico di natura patrimoniale che ha ad oggetto l’obbligo per le parti di concludere un successivo negozio giuridico patrimoniale, già delineato nei suoi elementi essenziali.
Detto contratto, a volte chiamato impropriamente “compromesso”, viene utilizzato anche per anticipare alcune prestazioni tipiche della compravendita, quai la consegna dell’immobile, il pagamento di parte del prezzo secondo scadenze prestabilite e prima della stipulazione del rogito d’acquisto e così via.
Il contratto preliminare rappresenta, pertanto, una fase intermedia del rapporto contrattuale ove entrambe le parti contraenti s’impegnano a concludere il contratto definitivo in un momento successivo.
Cosa accade se il promittente acquirente diviene inadempiente?
Secondo la sentenza n. 134 del 28.01.2020 del Tribunale di Monza, se il promittente acquirente non rispetta le prescrizioni stabilite nel preliminare, si configura un inadempimento contrattuale idoneo a determinare, oltre alla risoluzione del contratto premiare di compravendita stesso, anche l’eventuale condanna del medesimo promittente acquirente al risarcimento degli ulteriori danni provocati dall’inadempimento.
Il risarcimento in questione può essere ottenuto solo se si riesce a provare l’esistenza del danno ed il suo ammontare in base alla disciplina di cui agli artt. 1453 c.c. e seguenti.
Ai sensi dell’art. 1453 c.c., infatti, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro potrà a sua scelta, alternativamente, chiedere
- l’adempimento;
- la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
E’ importante sottolineare che dalla domanda di risoluzione, la parte inadempiente non potrà più adempiere la propria obbligazione.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 30763/2017, ha stabilito che “il risarcimento del danno presuppone un inadempimento imputabile con la conseguenza che, allorquando sia da rigettare la domanda di risoluzione del contratto per mancanza di colpa nell’inadempimento o per la scarsa importanza di esso o a fortiori – si aggiunge – per assenza di inadempimento, viene meno il presupposto per l’accoglimento della domanda accessoria di risarcimento”.
Importanti conseguenze si hanno anche riguardo alla sorte sulla caparra che, generalmente, è stata consegnata al momento della sottoscrizione del richiamato contratto preliminare.
Sappiamo che la caparra può essere di due tipi:
1) confirmatoria (vedasi art. 1385 c.c.) : in questo caso se la parte che ha concesso la caparra si rende inadempiente, l’altra parte può recedere dal contratto e trattenere la caparra. Se, al contrario inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra, l’altra parte può sempre recedere e richiedere il doppio di quanto versato.
Si tratta, in entrambi i casi, di facoltà concessa all’interessato che può comunque insistere per l’adempimento e richiedere il risarcimento per l’ulteriore danno subito.
2) penitenziale (vedasi art. 1386 c.c.): questo tipo di caparra rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso, stabilito convenzionalmente dalle parti contraenti. In questo caso chi decide di recedere deve dare all’altra parte quanto pattuito a titolo di caparra penitenziale e l’altra parte non potrà chiedere altro.
L’ordinanza n. 11012/2018 della Cassazione stabilisce che la restituzione della caparra è dovuta dal contraente inadempiente per effetto della risoluzione, perché viene meno la sua causa giustificativa.
Avv. Luca Palmerini